Visualizzare il dolore come metodo per combatterlo. E magari sconfiggerlo.

Visualizzare il dolore: sembra quasi un gioco, uno di quelli che facevamo da bambini, quando la fantasia era una componente attiva del nostro sentire. Ma com’è possibile dare un volto alla sofferenza? Be’, proprio sfruttando quella componente fantastica che molti, nel tempo, hanno messo da parte.

Il dolore secondo Treccani

Il dolore è sinonimo di (cit. Treccani) 1. [qualunque sensazione di sofferenza provocata da un male fisico] Ma anche 2. (fig.) [il soffrire moralmente] ≈ afflizione, angoscia, dispiacere, patimento, pena, sofferenza, tristezza. ↑ disperazione, strazio, tormento. ↓ amarezza, cruccio, dispiacere.

E se gli dessimo una forma?

Alcuni di noi quel dolore, per le motivazioni più svariate, lo hanno attraversato tutto; altri lo stanno attraversando. Ora, giusto parlando di attraversamento, proviamo quindi a immaginarlo non più come qualcosa di astratto ma diamogli una forma: e quale migliore immagine del mitico quanto dantesco Acheronte, il fiume del dolore appunto?

Chi ci ha appena affondato le caviglie lo vede gigantesco, invalicabile, indistruttibile: un mostro che ti leva il respiro e le forze, capace di annientarti in un paio di mosse.

Ma poi, andando avanti (perché tanto avanti si va comunque, anche a piccolissimi, impercettibili passi), quando nel fiume sei ormai immerso fino al collo, l’acqua ti opprime e la corrente tenta di trascinarti via, ti accorgi di essere ancora in piedi. Senti che i muscoli si sono rinforzati, che ti supportano meglio di ieri, e cominci a pensare che sì, ce la puoi fare. Io lo so, ci sono dentro fino al collo.

E poi un giorno sei fuori. L’Acheronte è battuto.

Impariamo a visualizzare il dolore

Il dolore è il nemico. Se impariamo a visualizzarlo gli diamo una consistenza, quindi lo rendiamo reale e dunque vincibile.

Chi, come me, ama i videogames sa che ogni boss si può sconfiggere. Anche se giochi in modalità difficile, basta avere pazienza e usare la strategia giusta. A volte bisogna rifare il quadro più volte ma alla fine s’impara. Si visualizzano i suoi punti deboli, si comprende che il termine invincibile non esiste. Ma se non abbiamo un’immagine di riferimento, la cosa si dimostrerà più complicata.

Punta, mira, spara

Nel mio percorso, ho usato e uso tuttora molto i videogames: dagli zombi agli alieni, sono loro il mio dolore, oggi il mio lutto. Ogni colpo ben assestato (consiglio sinceramente gli headshots, fonte di grandi soddisfazioni) è una tacca in meno di vitalità del mio nemico.

Alla fine di ogni quadro mi sento un tantino meglio. Innanzitutto riesco a mettere da parte i miei problemi per quel salvifico lasso di tempo, poi ho prodotto adrenalina, un ormone legato in modo atavico all’istinto di sopravvivenza; lotta o fuggi, ma in ogni caso non restare lì impalato a subire.

È vero, ci si arrangia come si può. Non condanniamo chi fa cose che ci sembrano assurde o fuori tempo, piuttosto cerchiamo di capire le sue motivazioni. E potremmo scoprire che magari anche noi…

I pregiudizi non sono salutari: impariamo piuttosto ad aprire la mente a nuove esperienze. Fosse anche dare un volto al dolore, o farsi una partita ai videogames. Se ci aiuterà ad attraversare l’Acheronte, ben venga.

Simonetta

Scrittrice, counselor, giornalista, motociclista, batterista e svariati altri “ista”. Ama i gatti e Stephen King ma lui non lo sa.